Pasta fresca


Pasta fresca

Una delle tradizioni culinarie non solo del Gargano, ma dell’intera Puglia: quella della pasta fatta a mano. Preparati da mani esperte e sapienti, i principali tipi di pasta fresca fatta a mano sono: le orecchiette, le “foglie d’ulivo”, ottime con le verdure e il pomodorino fresco e una grattugiata di cacioricotta, i classici troccoli foggiani, vermicelli quadrati tagliati con un matterello intagliato da abbinare a sughi robusti, i tradizionali “cicatielli”, ottimi con i “fasuole”, i fagioli. Le orecchiette sono una delle più antiche, un famosissimo formato di pasta, a base di farina di semola, e rappresentano il simbolo gastronomico della regione Puglia. Lavorate rigorosamente a mano, le orecchiette sono rotonde e concave, con il centro più sottile del bordo e con la superficie ruvida, e con le dimensioni di circa 3/4 di un dito pollice.

La forma particolare delle orecchiette abbinata alla superficie rugosa, fa sì che ogni condimento vi si adatti in maniera impeccabile, sia nella versione più classica delle orecchiette con le cime di rapa, che in altre sfiziose ricette. Ci sono svariati modi di chiamare questo particolare tipo di pasta fresca: “recchie o recchietelle”, per la loro forma che ricorda vagamente quella di un orecchio, “chianchiarelle” se di formato piccolo, “pociacche” di dimensione maggiore. Esistono anche delle orecchiette piatte dette “strascinate” che vengono solo trascinate con il coltello sulla spianatoia e non incavate. Le origini delle orecchiette sono avvolte nel mistero, anche se sembra abbastanza evidente la loro natalità pugliese. Secondo il parere di molti esperti, le odierne orecchiette deriverebbero dalle “lixulae”,un tipo di pasta dalla forma rotonda con il centro concavo ottenuta con farina e acqua, che veniva preparata nell’antica Roma e di cui ci lascia testimonianza anche il grande storico Varrone. La cosa certa è che le orecchiette presero così tanto piede che nel corso degli anni diventarono un piatto molto ricercato ed amato. A testimonianza di ciò, attorno alla fine del ‘500, negli archivi della chiesa di San Nicola di Bari fu ritrovato un documento con il quale un padre donava il panificio alla figlia e nell’atto notarile si poteva leggere che la cosa più importante lasciata in dote matrimoniale era l’abilità della figlia a preparare le “recchietedde”.

Tagliatelle – li llaine
Molte famiglie di signori, per fare in casa tutte le specie di pasta, usavano il fior di farina, moltissime altre usavano quella di secondo velo o farine “tuttene”. Impastata la farina sulla spianatoia “lu taulire” con acqua salata, si arrotondava la pasta in modo da formare una palla, la quale si schiacciava con il palmo della mano e poi si stendeva con lo spianatoio “lu laminature” cercando di avvolgerla più in fretta possibile per farla schiacciare. Quando la pasta era affinata abbastanza ed aveva preso una bella forma circolare allora si metteva sul letto ad asciugarla, dopo di ave messi una tovaglia pulita. Quando la sfoglia era asciugata la si piegava per età facendo combaciare i lembi del circolo e col coltello di tagliavano le fettucce più o meno larghe. I contadini mangiavano le tagliatelle condite con la ricotta tosta e sugo di pomodoro, oppure unite alla rucola, ai ceci, ai piselli, ai fagioli.

Troccoli o trucioli – ‘ntruccele
Il ceto signorile usava adoperare il fior di farina o la semola con uova, i contadini adopravano la farina tuttuna. Impastata la farina con acqua tiepida e salata si dava alla pasta la forma cilindrica allungata dello spessore di 5 o 6 centimetri, che veniva tagliata in pezzi lunghi 13 o 14 centimetri. Si schiacciava ciascun pezzo cilindrico con il palmo della mano riducendolo a forma di parallelepipedo sul quale si passava moltissime volte un arnese dentato di legno “lu ‘ntruccele” in modo da allungare la sfoglia, poi o con lo stesso arnese o con un altro simile ma di ottone si premeva con forza sulla pasta in modo da tagliarla in fili sottili ed uniformi “li corde”, che venivano separati uno a uno. I contadini mangiavano i troccoli spezzati quasi otto centimetri di lunghezza, “li ’ntruccele”, generalmente con i legumi.

Orecchiette – reccketell
Impastato come al solito il fior di farina e tagliati “li ciuciuliccke” si fanno “li rreccketell” con l’indice e il medio, oppure con la punta del coltello. Si mangiano condite con il sugo di umido e formaggio, oppure con i broccoli di rapa, con i cavolfiori “li ccime”condite con alici salate soffritte nell’olio.

Cicatelli – cecatidd
Si impasta la farina al secondo velo, farina tuttuna o quella di terzo velo “lu ‘russenidd”. Tagliati “li ciuciuliccke” si preme su ciascun di essi con l’indice e il medio, oppure col coltello, lasciandolo chiuso, o semichiuso, onde il nome “cecatidd”. Si abbinano perfettamente alle “eriche” “il rauche”, o ai finocchietti selvatici “li fenucckidd selvadde”.

Strascenete
Sono fatti di farina di secondo velo tuttuna. Si preme “li ciuciuliccke” con tre dita, indice, medio ed anulare, oppure col coltello, e si trascina sulla spianatoia lasciandolo tutto aperto. “Li atrascenete” vanno con la rucola, i broccoli di rape, conditi con aglio soffritto nell’olio.

Maccheroni bucati – maccarune a firr
Impastata la farina al solito modo, si allungava la pasta a forma cilindrica dello spessore di un dito, poi con la radimadia si tagliava a pezzi piccoli lunghi 3 centimetri chiamati “ciuciuliccke” sui quali, a due a due si metteva il berrettino quadrato sottile di ferro o di ottone, che finisce in punte, e con due o tre colpi ben dati si avevano i maccheroni corti bucati.

Maccheroni – maccaruncine
Impastata la farina al solito modo, si allungava la pasta a forma cilindrica dello spessore di un dito, poi con la radimadia si tagliava a pezzi piccoli lunghi 3 centimetri chiamati “ciuciuliccke” sui quali, a due a due si metteva il berrettino quadrato sottile di ferro o di ottone, che finisce in punte, e con due o tre colpi ben dati si avevano i maccheroni corti bucati.