Pane


Pane di Monte Sant’Angelo
Il pane di Monte Sant’Angelo è ormai noto ovunque, dato che i nostri panificatori lo esportano in molte città dell’Italia centro-settentrionale, trasformando così un’attività prettamente casalinga in un’attività quasi industriale. In questa sezione si è voluto far cadere l’attenzione su come il pane costituiva la base dell’alimentazione montanara. Per questo motivo la preparazione del pane era accompagnata da operazioni fisse da compiersi a scadenza quasi settimanale in tutte le famiglie. Gli ingredienti principali erano: la farina, il lievito, le patate, l’acqua e il sale.

Preparazione del lievito – lu crescente
preparazione-del-lievitoLa sera precedente alla lavorazione del pane, dopo essersi prenotati al passaggio del fornaio, che nel tardo pomeriggio girava per le strade del paese per raccogliere le prenotazioni per il giorno dopo, la massaia preparava il lievito o fermento. In un Kg. Do farina metteva una cinquantina di grammi di lievito, pasta fermentata, prelevata dalla pasta del pane preparato la volta precedente e opportunamente conservata, che, sciolto con acqua calda, veniva intriso con la farina, in modo da formare un pastone. Al termine dell’operazione lo si avvolgeva in panni caldi e lo si metteva sotto il materasso ai piedi del letto, oppure, d’inverno, sotto una coperta di lana con sopra i guanciali per farlo inacidire ed acquistare la fermentazione necessaria per panificazione.

Lavorazione della pasta – tumbrè
lavorazione-della-pastaLa massaia dopo aver disposta in cerchio la farina nella madia, nella parte centrale di esso, crea un vuoto, “’ntlu camine” dove stempera prima il pastone di patate (un Kg. di patate per ogni Kg. di farina) con acqua calda salata già preparata in un boccale (circa 250 gr, di sale ogni dieci Kg. di farina) poi il lievito ed a poco a poco impasta la farina, la quale intrisa con l’acqua calda diventa a poco a poco soda e duttile a furia di rimenarla nella madia con le mani ora aperte ore serrate in pugno, “pli scucuzzune”, fino quando la pasta non cominciava a gonfiarsi e diventare soffice. A questo punto la massaia copre, “ci ammocce”, con un panno l’intera massa della pasta e sopra per facilitare la lievitazione, vi pone panni di lana e cuscini, per un paio di orenella stagione estiva e circa tre in quella invernale, ma, quando il freddo risultava troppo intenso, per far lievitare bene la pasta metteva vicino alla madia un braciere con del fuoco. Prima di coprire la pasta, la massaia segnava l’impasto con una certo numero di segni di croce perché fermentasse bene e sollecitamente. In seguito, in base alla quantità divideva la massa pastosa in pezzi più o meno grandi e “li appanano” sulla spianatoia, riducendoli in pani rotondi,”lippanett” che potevano pesare dai tre ai quattro chili, quelli più piccoli, fino a 14 o 15 chilogrammi.
Su di essi per distinguerli la massaia metteva un segno speciale, per esempio, una ciambellina di pasta, “nu pupratidd”, una forma di ditale, “nu mescetele”, una crocetta, un moltiplicato di pasta, uno stampo, “numirche”, la forma di due chiavi, di una forchetta per poterlo distinguere dagli altri quando veniva sfornato. Una volta che la pasta di pane veniva trasformata in una bella palla, veniva deposta in cesto, dove precedentemente era stato inserito un tovagliolo di cotone, per impedire che la pasta siattaccasse ai vimini con cui era fatto il cesto. Quando arrivava il garzone del fornaio per portare il pane al forno, i cesti che contenevano il pane crudo, venivano messi sull’asse, “la taule dluppene”, mandata dal fornaio e coperti con un telo.

Preparazione delle patate – li ppatène
Contemporaneamente al lievito metteva a cuocere le patate in un Calzerotto, “lu seccketidd”, indi le sbucciava, “ci ammonnene” e le schiacciava, “ce sfanne”, col piatto. Se le patate non erano tanto buone perché impilate, “ceggkiete”, le passava con un setaccio di lana per liberarle da tutte le impurità e ne formava una massa ovale schiacciata che deponeva, fra due piatti riscaldati, in un angolo della madia dove aveva gia preparato la quantità di farina occorrente.

Il pane della festa
il-pane-della-festaI contadini nelle grandi feste “fanne lu ppene bianche pla farina suttile”, cioè di primo velo, ad i pani allora hanno varie forme e carie denominazioni. Nelle feste di Pasqua, “li ppanett” si chiamano “ucelatidd” se sono grandi ed intrecciate con tre capi e “scarascedd”, quelle piccole destinate ai fanciulli, le quali poi hanno varie denominazioni a seconda la forma: “a panaredd, a puparedd, a canestridd”. La superficie viene cosparsa di uovo battuto e vi sono apposte una o due uova e delle fronde di ulivo benedetto. Sia che faccia pane bruno o bianco, la massaia prima di mandare i pani al forno toglie delle porzioni di pasta e fa una o due focacce “li vvizz”a seconda i componenti la famiglia. Sulla focaccia con i polpastrelli della dita si fanno delle fossettine e si spalma la superficie con olio di oliva sul quale si mettono origano “orinij”, aglio e sale. Sulla focaccia si mettono anche bene allineati i pomidori spaccati a metà ed aperti con gli ingredienti gia detti ed in tal modo si ha la pizza con pomodoro “la pizz pli pemmedore”.

Frisie
Le Frise di antichissima origine sono delle ciambelle non sempre col buco di farina di frumento cotte intere poi tagliate a metà e lasciate biscottare nel forno a legna. Bagnate in acqua si condiscono con olio, pomodoro, origano e sale. Tipico prodotto contadino di grande serbevolezza in quanto duro e secco si conserva nelle capase per diverse settimane.

Focaccia ripena
Nelle campagne ogni volta che si faceva il pane in casa veniva preparata anche la focaccia. Si consumava sia calda che fredda sopratutto durante le brevi pause di lavoro. La cipolla e la ricotta forte le conferiscono un sapore molto deciso. Diversi forni a legna di vari comuni ancora la producono secondo l’antica ricetta. Da assaggiare calda e profumata appena sfornata.