Legumi, ortaggi e spezie


castagneCastagne

Protagonista incontrastata di una civiltà che, prima dell’avvento della patata, la utilizzava come risorsa alimentare fondamentale, la castagna ha conosciuto un declino quando la negligenza dell’uomo e le malattie crittogamiche portarono all’abbandono dei castagneti. I monaci, che del castagno conoscevano a fondo, tra l’altro, le proprietà terapeutiche, ne avevano promosso ovunque la coltivazione. Il comune di Pievebovigliana oggi ha avviato un’intensa opera di conservazione e rivalutazione

Fagioli & Patate

Gli orti sono parte integrante del paesaggio e producono di tutto: pomodori, aglio  e cipolla, zucchine e zucche, rape, ogni tipo di verdure e ortaggi; ma una menzione particolare la meritano i fagioli, quelli gialli ‘mangiatutto’, i ciabattoni, che qui chiamano ‘fagioli turchi rampicanti’, diversi tipi di borlotto chiamati ‘uovo di quaglia’, ‘roccetta’ e ‘fiascone’ e soprattutto una particolare cultivar chiamata ‘monachello’ per la sua particolare colorazione bianca con una macchia nera, salvato dalla scomparsa, riscoperto e circondato da crescenti attenzioni gastronomiche. Famose le patate di Colfiorito, a pasta gialla, che scendono nel buio della terra a maggio e da tempo immemorabile, con i fagioli, rappresentano la scorta per la stagione della neve.

Lenticchie & Legumi

Cicerchie e lenticchie, ma anche farro, roveja e miglio, avena, segale e orzo si coltivavano un tempo nella Marca, poi lo Stato Pontificio promosse la produzione del frumento e i cereali minori dovettero ritirarsi sui coltivi marginali di colli e monti. Il farro resiste sulle alte colline di Serravalle; la lenticchia è coltivata nella varietà IGP a Colfiorito, ma è prodotta anche a Serravalle, Castelsantangelo sul Nera, Monte Cavallo e Fiastra. A Serravalle e a Colfiorito si trova ancora la cicerchia, simbolo una volta dell’estrema povertà. Oggi, sostenuta dal desiderio di recuperare la tradizione, è in aumento anche la richiesta di roveja, un piccolo legume simile al pisello: sulle tavole locali la si gusta in zuppa o lessata oppure se ne utilizza la farina per preparare una polentina chiamata ‘pesata’ o ‘farrecchiata’.

orzoOrzo Mondo

La coltura di questa varietà è stata fortunatamente ripresa negli ultimi anni da pochi coltivatori di Visso, Serravalle e Pievebovigliana: la ‘salute da bere’ era un rito officiato in ogni casa in tempi di autarchia quando , chiuso in un barattolo, l’orzo veniva torrefatto accanto alle braci del camino e poi posto in infusione nell’acqua bollente.

maisMais

Nel circondario di Camerino il granoturco, coltivato secondo la tipologia dei terreni in diverse varietà,era il cereale più diffuso dopo il grano e nell’Ottocento la polenta era il piatto base nella povera alimentazione dei contadini marchigiani. La si consumava persino a colazione, sotto forma di una focaccetta detta ‘crescia’, cotta alla brace e farcita con le cicorie selvatiche. Ancora oggi, a ben cercare, esistono panetterie dove si può assaggiare il pane di granoturco e la ‘frostenga’, un dolce a base di farina di mais, arricchito con uvetta, fichi secchi, noci, sapa.

Tartufo nero & Tartufo bianco

La ricerca del pregiato  ‘nero’, che dona profumo e gusto a semplici frittate, tagliatelle, risotti e cacciagione, si avvicenda alla raccolta del meno pregiato ‘scorzone’ che  tra i Sibillini, nella varietà precoce si raccoglie a giugno e nella varietà tardiva a fine estate. Un po’ snobbati dai consumatori esigenti, gli scorzoni, in ogni caso, sono documentati sulla tavola imbandita per Rodolfo Varano a Ussita nel Luglio del 1380 in occasione della posa della prima pietra del castello. Pochi lo sanno, ma in questa zona sono presenti tutte le specie di tartufo, compreso quindi, anche se in quantità limitata, il preziosissimo tartufo bianco. Se, come è successo in altre realtà europee, a causa della raccolta indiscriminata, le tartufaie si esaurissero, alcuni agricoltori hanno già avviato impianti di tartuficoltura artificiale che nella Comunità montana di Camerino sono delle avanguardie.

funghiFunghi

I funghi in montagna sono l’ingrediente sovrano della gastronomia locale: porcini, turini, prugnoli e sanguinelli si trovano nei boschi o nei prati e si conservano e si mangiano nei modi più disparati e fantasiosi. I turini, alias prataioli di montagna, erano già conosciuti da Greci e Romani e Orazio e Galeno ne raccomandavano il consumo.

Erbe di campagna

Sugli incolti erbacei, sui bordi delle strade di campagna e sulle scarpate, la primavera offre tarassaco, caccialepre, piantaggine, cicoria selvatica, pimpinella; sui recinti e ovunque si possano arrampicare corrono le vitalbe; A ridosso dei piccoli borghi scappano dagli orti la borragine e la salvia officinale; dappertutto si trova l’ortica; sui pascoli la carlia, parente de carciofo, offre il suo tenero cuore che le donne di casa conservano gelosamente sottolio. Nei boschi si raccolgono gli asparagi selvatici e i germogli del pungitopo. Ecco come rifornire la dispensa affrontando la natura armati solo di coltellino e canestro.

Fiori di Finocchio

Il fiore di finocchio selvatico è l’aroma autoctono per eccellenza, simbolo della cucina del territorio e, come lo zafferano, è preziosissimo. La raccolta e la lavorazione di questi ombrellini fioriti dai campi mette a dura prova la pazienza degli anziani, gli unici ormai rimasti a dedicarsi  a questa attività. Prodotto purissimo da tenere a portata di mano per insaporire il fegato, i pomodori arrostiti, le olive nere, il baccalà in bianco e le spuntature.

Mele antiche

I Sibillini sono il giardino dei frutti dimenticati. Le mele antiche, accomunate da bellezza, bontà e serbevolezza, hanno nomi da fiaba: la rosa in pietra o mela sassa che, con le limoncelle si consumava dopo gennaio; la mela muso di bove, la mela cotogna, la ‘renella’ in campagna venivano raccolte e poste nel ‘melaro’, un canniccio che veniva sistemato sulla biforcazione di un gelso e coperte di paglia e pula; in montagna, invece, le mele trovavano accoglienza nel buio dei granai, accanto alle bacche di sorbo domestico che ne favorivano la maturazione.

zafferanoZafferano

Nell’alto maceratese quella del Crocus sativus un tempo era una coltura diffusa che però, purtroppo, nel corso dei secoli venne progressivamente abbandonata. Il Gal Sibilla e l’Università di Camerino, in collaborazione con il ‘Progetto agricoltura sostenibile’ del Parco Nazionale dei Monti Sibillini, hanno dato vita ad uno speciale progetto che prevede la coltivazione di alcune piante officinali (malva, tarassaco,cardo mariano, valeriana, anice verde), delle quali il croco, da cui si ricava lo zafferano, è il capofila.